Francesco Carmignoto – Yemen, ritorno a Sana’a
Sana’a is still the beautiful Venice of the East from my memories of the trip a few years ago. Few Kalashnikovs over the shoulder. The jambiyas remain, the curved stabs worn in the band around the hips by all Yemeni males, the delightful houses of ocher-colored bricks, the arches of the doors and terraces, the plaster decorations that surround the windows, the multi-colored glass. An unstoppable fantasy of embroideries that rise in the facades, in the alleys, in the squares and in the gardens with palms and fruit trees. The gaze lingers inebriated by the beautiful and human disorder.
We leave immediately for the Harazz mountains, in a succession of small villages perched on the slopes. They seem as fortified as those of our Middle Ages. From each peak the turreted castles dominate the large cultivated terraces. Almost all of them are small trees of qat, whose leaves the Yemenis are crazy about.
Here are the beautiful pink stone houses of Thilla, spread out on the slope. In her little shop I meet the young woman from a previous trip, who was not wearing a veil and who had strongly assured me that she would never wear it. She proudly shows me her face, with a cheerful smile. Even Yemeni women can have a symbol of freedom! I congratulate her, reminding her of the meeting six years earlier. I wander around his shop full of interesting items. I buy a kind of transparent alabaster heart, inlaid with curious Hebrew writings. I am not convinced that it is ancient, but it seems to me very beautiful and mysterious. In Yemen there were many Jews, often artisans who were also very good at working silver and considered true masters in carving the most precious jambiyas.
Sana’a è ancora la bellissima Venezia d’Oriente dei miei ricordi del viaggio di alcuni anni or sono. Pochi i kalashnikov a tracolla. Restano i jambiya, i pugnaloni ricurvi portati nella fascia attorno ai fianchi da tutti i maschi yemeniti, le case deliziose di mattoni color ocra, gli archi delle porte e delle terrazze, le decorazioni di gesso che contornano le finestre, i vetri dai tanti colori. Una fantasia irrefrenabile di ricami che salgono nelle facciate, nei vicoli, nelle piazzette e nei giardini con palme e alberi da frutto. Lo sguardo si sofferma inebriato dal bellissimo e umano disordine.
Partiamo subito per i monti dell’Harazz, in un susseguirsi di piccoli villaggi arroccati sui pendii. Sembrano fortificati come quelli del nostro Medioevo. Da ogni cocuzzolo i castelli turriti dominano le larghe terrazze coltivate. Quasi tutte ad alberelli di qat, delle cui foglioline gli yemeniti vanno matti.
Ecco le belle case in pietra rosata di Thilla, distesa sul pendio. Nel suo negozietto ritrovo la giovane donna di un viaggio precedente, che non portava il velo e che mi aveva assicurato con forza che lei non lo avrebbe mai messo. Mi mostra orgogliosa il suo volto, con un sorriso allegro. Anche le donne yemenite possono avere un simbolo di libertà ! Le faccio i miei complimenti, ricordandole l’incontro di sei anni prima. Mi aggiro nel suo negozio pieno di oggetti interessanti. Compro una specie di cuore di alabastro trasparente, intarsiato con curiose scritte in ebraico. Non sono convinto che sia antico, ma mi sembra molto bello e misterioso. Nello Yemen erano molti gli ebrei, spesso artigiani bravissimi a lavorare anche l’argento e considerati veri maestri nel cesellare i più preziosi jambiya.