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Wakhan, tetto del mondo di Ilaria Miani

Wakhan, tetto del mondo di Ilaria Miani

Un frammento del mio cuore è perso tra le montagne del Pamir è negli occhi delle persone che ho incontrato e dentro ogni ruga del loro viso che rimandano a quanto questa terra possa essere meravigliosa e terribile.

In Afghanistan ci sono stata per fotografare i Kyrgyzi. Una popolazione nomade che vive all’estremo nord e arrivarci non è stato semplice.

Per raggiungere la frontiera afghana ci sono voluti 2 giorni di macchina su strade sterrate, seguendo il fiume Pamir, passando tra gole di sorprendente bellezza e guadando corsi d’acqua. Passata la frontiera a Ishkashim, si attraversano le terre del Wakhan dove si vive di pastorizia, agricoltura e hashish.

Quello di cui vado orgogliosa è il rapporto che sono riuscita ad instaurare con le persone, una comunicazione fatta di gesti, sguardi ed espressioni.

Il percorso con la macchina termina a Sarhad, da qui, inizia l’ascesa verso le montagne del Pamir, si deve proseguire a cavallo e nei tratti più ripidi, a piedi.

Siamo a 3.200 metri. Passiamo i siti di Borak, Langar, Kashch Goz e arriviamo sull’altopiano. Cerco di imprimere nei miei occhi l’immagine di ogni singola vetta, di ogni altura,di sentire il vento, il sole e penso che tutto questo l’hanno vissuto anche Alessandro Magno e Marco Polo. Ci vogliono 5 giorni per arrivare a Bozai Gumbaz dove sono stati avvistati i Kirgyzi.

Tanto la popolazione dei Wakhy è aperta e socievole, tanto i Kirgyzi sono diffidenti e restii ai contatti con persone esterne. Il permesso di restare ci è accordato, però è stato vietato agli uomini di fare foto. Ma i soldi fanno comodo a tutti e così il divieto è sciolto e la sera è stata organizzata una cena che prevede capretto, pesce di fiume e naan, il tipico pane afgano, il più buono che abbia mai mangiato!   

Mi aggiro tra le yurte e le costruzioni fatte di fango e pietra. Vedo solo donne. Le seguo mentre vanno a prendere l’acqua o fanno rientrare gli animali nei recinti, o cucinano per noi. La nostra guida ci spiega che il colore del copricapo che indossano, distingue le sposate dalle nubili: bianco per chi ha un marito;rosso per le nubili.

Siamo rimasti solo una giornata al villaggio. Sono stata fortunata a fotografare i Kirgyzi, poiché è una di quelle popolazioni le cui tradizioni sono a rischio di estinzione.

Mi piacerebbe tornarci una terza volta in questa terra e non per riprendermi il cuore che vi ho lasciato, ma per lasciarne altro.

ILARIA MIANI

Nel tempo ho acquisito la consapevolezza di quanto la fotografia sia testimonianza. Documento comunità che mantengono le loro tradizioni perché spero di poter dare loro una voce

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