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Marco Parenti – la Puna Argentina

Marco Parenti – la Puna Argentina

In August 2018, I set out to discover the Puna, the vast desert plateau in north-western Argentina, which extends between the two Andean mountain ranges, like the space between the two parts of a badly opened zip. I get there from Salta (a two-hour flight from Buenos Aires) first by traveling in a 4×4 across a plain where vineyards and cacti alternate as far as the eye can see. Then going up, to go beyond the first edge of the mountain hinge, between which soft dunes of very fine pink sand are dotted with golden bushes. And finally, the empty vastness of the Puna unfolds before my eyes, the end of which cannot be seen.
I immediately understand that I am very high, over 2000 meters, because the air has the taste and smell of purity, and your breath burns in your throat. The predominant colors are the yellow of the dry and rare low vegetation, the purplish pink of the snow-streaked hills, the intense blue of the sky and the black of the ash fired over the centuries by the numerous volcanic cones. You don’t meet anyone along the long straight dirt tracks that seem to have been drawn with a ruler.

The driver / guide says that very few tourists come here, and even the Argentines don’t know the Puna. From time to time you cross the tracks of a railway still used to transport salt and minerals between Argentina and Chile. In Tolar Grande (3508 m), a village in the middle of nowhere, there is a tiny station where trucks load and they unload the wagons. It is here that I finally meet the few inhabitants of the Puna. They gather in the evening to eat and drink in the only inn in the town, keeping their anoraks on because even inside the cold is really tough, and the wood stove just can’t manage to heat. And, going outside, I find them huddled on the benches in the hall of the town hall, the only place where he takes his cell phone, or holed up in their jeeps parked around there with their engines running to shelter from the cold. On August 1st, the rite of thanksgiving to Pachamama (Mother Earth) is celebrated here, a very ancient tradition of the Andean populations.
By chance I notice a group gathered around a hole dug in the ground. After reciting their invocation in recollection, they bury their gifts to Mother Earth: alcohol, fruit, vegetables, rice, cigarettes and coca leaves, all of which have swollen cheeks. They pass each other a bowl containing a mixture of all the drinks they have gathered, alcoholic and otherwise. I take a sip too, so as not to offend them. The tone of the voices is subdued to respect the sacredness of the moment. Silence is the typical sound of the Puna. Even now, years later, if I close my eyes I see that blue sky again, I feel the empty silence and breathe the purity of that air.

Nell’agosto del 2018 parto alla scoperta della Puna, il vasto altopiano desertico dell’Argentina nord-occidentale, che si estende in mezzo alle due cordigliere andine, come lo spazio compreso tra i due lembi scostati di una cerniera lampo aperta malamente. Ci arrivo da Salta (a due ore di volo da Buenos Aires) dapprima percorrendo in 4×4 una pianura dove si alternano vigneti e cactus a perdita d’occhio. Poi salendo, per oltrepassare il primo lembo della cerniera montuosa, tra cui sono adagiate morbide dune di sabbia rosata finissima punteggiate di cespugli dorati. E finalmente, si dispiega davanti ai miei occhi la vuota vastità della Puna di cui non si coglie la fine.
Capisco subito di essere molto in alto, oltre i 2000 metri, perché l’aria ha il sapore e l’odore della purezza, e il respiro ti brucia in gola. I colori predominanti sono il giallo della secca e rara vegetazione bassa, il rosa violaceo delle alture striate di neve, il blu intenso del cielo e il nero della cenere sparata nei secoli dai numerosi coni vulcanici.
Non si incontra nessuno lungo i lunghi rettilinei di terra battuta che sembrano tracciati con il righello.

L’autista/guida dice che qui vengono pochissimi turisti, e neanche gli Argentini conoscono la Puna. Di tanto in tanto si incrociano i binari di una ferrovia ancora usata per trasportare sale e minerali tra Argentina e Cile. A Tolar Grande (m. 3508), un villaggio in mezzo al nulla, c’è una minuscola stazione dove i camion caricano e scaricano i vagoni. E’ qui che finalmente incontro i pochi abitanti della Puna. Si radunano alla sera a mangiare e bere nell’unica locanda del paese, mantenendo indosso le giacche a vento perchè anche all’interno il freddo è davvero tosto, e la stufa a legna proprio non ce la fa a scaldare. E, usciti fuori, li ritrovo rannicchiati sulle panche della sala del municipio, l’unico posto dove prende il cellulare, o rintanati nelle loro jeep parcheggiate lì intorno con i motori accesi per ripararsi dal gelo. Il primo agosto qui si celebra il rito di ringraziamento alla Pachamama (Madre Terra), una tradizione antichissima delle popolazioni andine. Per caso mi accorgo di un gruppo radunato attorno a una buca scavata nel terreno. Dopo aver recitato in raccoglimento la loro invocazione vi seppelliscono i loro doni alla Madre Terra: alcolici, frutta, ortaggi, riso, sigarette e foglie di coca, di cui hanno tutti le guance gonfie. Si passano l’un l’altro una ciotola contenente un miscuglio di tutte le bevande che hanno radunato, alcoliche e non. Anch’io ne provo un sorso, per non offenderli. Il tono delle voci è sommesso per rispettare la sacralità del momento. Il silenzio è il suono tipico della Puna. Ancora adesso, a distanza di anni, se chiudo gli occhi lo rivedo quel cielo blu, avverto il vuoto silenzio e respiro la purezza di quell’aria.

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Marco Parenti

Ho 68 anni e vivo a Milano. Viaggiare è la mia passione e fotografare il mio modo di dire grazie alla vita.

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