Sara Aliscioni – Meta/East
In a country squeezed between Romania and Ukraine, between the European Union and Russia, the last have a home.
One wonders about what Moldova is today, that is, an autocracy where strong men they direct and control the disappointed, frustrated, impatient masses waiting for reforms.
The last are the protagonists of the empty squares and specter of the country, they live in a precarious situation that has led many of them to emigrate, leaving the villages without the intermediate generations and populated by children, young people and the elderly who are questioning a future uncertain.
They are those who live those incident silences, at the beginning and at the end of the days, broken from the Orthodox songs from the churches, symbolic reference points of many values as well as synonymous with tradition.
Crushed by the legacies of the communist regime, by the residues of what remains of the power plant nuclear power of Chernobyl, the last ones go to populate even those villages that should be erased by radiation in order to escape poverty by becoming the first of the dead regions.
Many women, a true local workforce, choose to leave their homes and become caregivers of Europe, very often leaving their families but with the aim of return to return that questioned future. Lonely children grow up on the street, in many cases with grandparents, in many others located in areas far from large urban agglomerations.
The absence of maternal figures generates social orphans, a category of weak and last who they are often welcomed by poor families, snatching them from the cold dormitories of the orphanages made of unheated concrete blocks.
Moldova is the poorest nation in Europe that has suffered an incisive impact in the last 15 Years demographic change: among the tall and gray buildings, still standing still with the decaying and devoid plaster of people, you can breathe the diaspora made up of painful departures and uncertain returns.
Lost cities where the last are the first dreamers and protagonists of my portraits. Many of these shots were captured in the street, others are born from the knowledge made during the journey of the locals, others still requested by those who for some the latter wanted to guarantee themselves an illusion of eternity.
The story is divided into three parts: childhood, maturity and old age. Three generations compared who, with their faces and their contexts, tell the story of that country metaphysical and surreal as Moldova is, but also tangible where time is still and where the boundary between past, present and future seems to disappear.
The elderly are therefore the same adults and adults the same children who remain if themselves in change, in loneliness, in their being lost in the city, giving soul a new romanticism that contemplates something that is destroyed and dies but that can reborn or transformed.
Meta/East
In un paese schiacciato tra Romania ed Ucraina, tra l’Unione Europea e la Russia, gli ultimi hanno dimora.
Ci si interroga su quello che è la Moldavia oggi, ossia un autocrazia dove gli uomini forti dirigono e controllano le masse deluse, frustrate, spazientite e in attesa di riforme.
Gli ultimi sono i protagonisti delle piazze vuote e spettro del paese, vivono in una situazione precaria che ha portato molti di loro ad emigrare lasciando i villaggi privi delle generazioni intermedie e popolati da bambini, ragazzi ed anziani che interpellano un futuro incerto.
Sono coloro che vivono quei silenzi incidenti, all’inizio e alla fine delle giornate, spezzati dai canti ortodossi provenienti dalle chiese, punti di riferimento simbolici di molti valori nonché sinonimo di tradizione.
Schiacciati dai retaggi del regime comunista, dai residui di quel che resta della centrale nucleare di Chernobyl, gli ultimi vanno a popolare anche quei villaggi che dovrebbero essere cancellati per le radiazioni pur di sfuggire alla povertà trasformandosi nei primi delle regioni morte.
Molte donne, vera forza lavoro locale, scelgono di abbandonare le loro case e diventare badanti dell’Europa lasciando molto spesso le proprie famiglie ma con l’obiettivo di ritornare per restituire quel futuro interrogato. I ragazzi soli crescono in strada, in molti casi con i nonni, in molti altri dislocati in zone lontane dai grandi agglomerati urbani.
L’assenza delle figure materne genera gli orfani sociali, categoria di deboli e ultimi che spesso vengono accolti da famiglie povere strappandoli dalle fredde camerate degli orfanotrofi fatti di blocchi di cemento non riscaldati.
La Moldavia è la nazione più povera d’Europa che ha subito negli ultimi 15 anni un’incisiva mutazione demografica: tra i palazzi alti e grigi, ancora fermi con gli intonaci cadenti e privi di persone, si respira la diaspora fatta di dolorose partenze ed incerti ritorni.
Città perdute dove gli ultimi sono i primi sognatori e protagonisti dei miei ritratti.
Molti di questi scatti sono stati catturati in strada, altri nascono dalla conoscenza fatta durante il viaggio degli abitanti del posto, altri ancora richiesti da coloro che per alcuni secondi volevano garantirsi un’illusione di eternità .
La storia è divisa in tre parti: l’infanzia, la maturità e la vecchiaia. Tre generazioni a confronto che, con i loro volti e i loro contesti, raccontano quel paese metafisico e surreale quale è la Moldavia, ma anche tangibile dove il tempo è fermo e dove il confine tra passato, presente e futuro sembra scomparire.
Gli anziani sono dunque gli stessi adulti e gli adulti gli stessi bambini che rimangono se stessi nel cambiamento, nella solitudine, nel loro essere persi nella città , dando anima ad nuovo romanticismo che contempla qualcosa che si distrugge e muore ma che può rinascere o trasformarsi.