Loris Delvecchio – Mongolia
Mongolia should be explored outside the borders of the capital, Ulaanbaatar. It is out there that there is a microcosm of different landscapes and climates of which the eye and the heart never tire. It is out there that you have to pay attention to its inhabitants, their looks and their kindness. Their nomadic nature is closely linked to nature and the seasons, a lifestyle that makes them detached from consumerism and keeps them away from this chaotic world.
The trip led us to discover two extreme areas of Mongolia, the western part with the lands of the imposing Altai Nuruu, the highest mountain range in Mongolia, and the part of the far north covered by the green of the Taiga.
The distances to be covered are long but the ever-changing landscape reduces travel times. Between horseback riding and motor vehicles, the journey is a continuum of emotions and adventure and even leads us to reach the Tavan Bogd glacier, on the border with Russia and China, where we set up base camp and prepare for the summit of Malchin Peak (4050 m).
Later we entered the taiga where we were guests of a Tsaatan family. We shared moments, jobs, games, smiles and food with them. In this corner of paradise it is like having gone back in time and if you immerse yourself without restraint in the life of these families, you understand that it is nature that dictates the times and you can perceive the essence, simplicity and true necessities of life.
The journey ends with a return to Ulaanbaatar, with the backpack full of emotions and memories and with shining but more vivid eyes. I would like to conclude this narrative with a sentence from the book “The leopard and the shaman” by Federico Pistone, “Mongolia is the land of miracles. Simply because it brings man back to his origins, strips him and heals him of the diseases that our evolved condition gives us in exchange for some convenient uselessness against nature”.
Viaggio nelle selvagge terre di Gengis Khan
La Mongolia va esplorata fuori dai confini della capitale, Ulan Bator. È lì fuori che esiste un microcosmo di paesaggi e climi diversi di cui l’occhio e il cuore non si stancano mai. È lì fuori che bisogna fare caso ai suoi abitanti, i loro sguardi e la loro gentilezza. Il loro essere nomadi e strettamente legato alla natura e alle stagioni, uno stile di vita che li rende distaccati dal consumismo e li tiene lontani da questo mondo caotico.
Il viaggio ci ha portato a scoprire due aree estreme della Mongolia, la parte occidentale con le terre dell’imponente Altai Nuruu, la più alta catena montuosa della Mongolia, e la parte dell’estremo nord coperta dal verde della Taiga.
Le distanze da percorrere sono lunghe ma il paesaggio in continuo cambiamento riduce i tempi di percorrenza. Tra spostamenti a cavallo e mezzi a motore il viaggio è un continuo di emozioni e avventura e ci porta persino a raggiungere il ghiacciaio Tavan Bogd, ai confini con Russia e Cina, dove montiamo il campo base e ci prepariamo alla conquistiamo la vetta del Malchin Peak (4050 m).
Successivamente siamo entrati nella taiga dove siamo stati ospiti di una famiglia Tsaatan. Abbiamo condiviso con loro attimi, lavori, giochi, sorrisi e cibo. In questo angolo di paradiso è come essere tornato indietro nel tempo e se ti immergi senza freni nella vita di queste famiglie, capisci che è la natura a dettare i tempi e puoi percepire l’essenza, la semplicità e le vere necessità della vita.
Il viaggio si conclude con rientro ad Ulan Bator, con lo zaino pieno di emozioni e ricordi e con gli occhio lucidi ma più vivi. Vorrei concludere questa narrazione con una frase del libro “Il leopardo e lo sciamano” di Federico Pistone, “La Mongolia è la terra dei miracoli. Semplicemente perché riporta l’uomo alle origini, lo spoglia e lo risana dalle malattie che la nostra condizione evoluta ci consegna in cambio di qualche comoda inutilità contronatura”.